
Se li guardi. Racconti di persone finite in carcere.
Amedeo SavoiaIl Margine
2021
Racconti di persone finite in carcere
L’autore presenta brevi racconti di vita, storie diverse con un particolare in comune: tutti i protagonisti di queste storie sono stati in carcere, ma tutte riescono a oltrepassare quella barriera che, d’istinto, una persona «libera» mette tra sé e chi si trova ad abitare un istituto penitenziario.
Queste storie, nate nel vasto mondo e raccolte dietro alle mura delle carceri, rimangono in mente, non si può non essere coinvolti e ascoltarle distrattamente. Leggendole si farà caso a come gran parte dei detenuti che raccontano le loro vicende all’autore si sono ritrovati a violare la legge sulla sottile linea d’ombra che separa l’età dei giochi da quella adulta. Piccoli furti e abuso di droghe, che non sono stati estemporanei, non sono rientrati in una «normalità» ma li hanno condotti dietro alle sbarre.
«Se sono finiti in galera, se la sono cercata» siamo abituati a pensare. Sapere i colpevoli rinchiusi lontani da noi porta a un senso di sicurezza. Ma è solo incontrandoli, anche soltanto attraverso un racconto, che possiamo capire quanto sia necessario concepire il carcere come un luogo teso a riabilitare e non a punire.
Leggi la Premessa
Premessa
Le statistiche dicono che il carcere in Italia costa tanti soldi e sostanzialmente alimenta la criminalità, se è vero che la stragrande maggioranza di chi trascorre la pena in carcere, quando esce, ricade nel reato. Viceversa, chi accede a misure alternative delinque molto meno, perché qualcuno lo ha aiutato a reinserirsi nella società nel rispetto delle regole, grazie anche a formazione e lavoro. Ciò significa meno criminali e di conseguenza più sicurezza.
Ma noi viviamo di storie che più sono semplici meglio funzionano. Quella più in voga, sul carcere, suona così: «Se sono finiti in galera, se la sono cercata. Sbattiamoli in cella e buttiamo la chiave». Film e romanzi spesso finiscono con l’imputato in manette. Sui titoli di coda godiamo della percezione di sicurezza che ci trasmettono il colpevole rinchiuso lontano da noi e l’ordine ristabilito. Poco importa che a pagare il conto, alla fine, saremo noi e che molti usciranno più esperti di crimine e determinati a violare la legge. Preferiamo una pena che punisce a una che riabilita.
Di gente che se la sarebbe cercata ne ho incontrata tanta, in carcere e fuori, facendo scuola e laboratori di scrittura e teatro fra il 2005 e oggi. Ad alcuni ho chiesto di raccontarmi o scrivere qualcosa della propria vita. Uno ha dipinto un grande Cristo del Mantegna sulla parete della cella in una notte ascoltando i Beatles. Una ha ammazzato centinaia di serpenti perché, da Eva in poi, donne e serpenti non vanno d’accordo. Uno mi ha detto che il padre faceva trappole per cani per ammazzare quello del vicino. Uno che da bambino si vergognava molto, ma lui non ce la faceva a non farsi la pipì addosso. Uno che a quattordici anni, assieme a una trentina di compagni di una scuola alberghiera, si ubriacava e drogava tutti i giorni senza che nessun adulto intervenisse. Uno che si può amare e sposare di nascosto una ragazza nel Pakistan islamico. Uno che la criminalità organizzata ha un welfare da far invidia ai paesi scandinavi. Uno che si può diventare campioni nazionali giovanili di boxe e poi tagliarsi i muscoli delle braccia, chissà perché. Tre che ci si può uccidere in carcere. Uno che si può, per pietà umana, alimentare l’alcolismo di un grande ex-campione di calcio regalandogli di nascosto bicchierini di Grand Marnier. Uno che, quando si attraversa il mare in tempesta su un barcone, bisogna sorridere ai bambini per non farli spaventare ed è meglio addormentarsi, per non accorgersi di morire. Più di uno che esiste un carcere cattivo e uno buono e che si può tornare in carreggiata se incontri le persone giuste. Una mi ha scritto che si può essere stuprate a dodici anni. Mentre la ragazza mi leggeva questa storia, ho notato che sul polso erano spuntate tre piccole vesciche rotonde e purulente che non ricordavo. «Mi sono bruciata con la sigaretta dopo aver scritto questa cosa. Il dolore fisico scaccia quell’altro. Faccio sempre così».
Fatti come questi mi hanno spesso lasciato senza parole quando me li hanno raccontati a voce o per iscritto. Mi pare che mi abbiano aiutato a capire chi avevo di fronte e per questo ne ho raccolto una selezione in un libro, nella convinzione che chi li leggerà possa trarne spunto per andare al di là delle semplificazioni. Conforta sapere che alcuni protagonisti di queste storie sono ora sulla via di una rinnovata libertà grazie a loro stessi e alle opportunità incontrate. Confido che anche altri ci riescano.
C’era bisogno di dare un ordine a storie tanto diverse. In parte ci ho messo mano e in parte ho lasciato fare al caso. Mi pareva che i testi potessero essere suddivisi per temi prevalenti e così ho fatto pur con qualche, spero scusabile, arbitrio. Alcune risultano ben rappresentate come Bambini, Animali, Carcere e Lavoro. Altre hanno meno testi. Ho evitato le categorie come violenza o dolore perché generiche e pervasive. Ho isolato però quella dello stupro per conferire un particolare rilievo simbolico ed evocativo all’unico testo presente. Di storie come questa ne avevo una sola per fortuna e avrei fatto volentieri a meno anche di questa. Forse ci stava una categoria dedicata ai padri, ma poi non l’ho fatta. Rintracci eventualmente chi legge il filo sotterraneo che collega alcuni testi su questo tema o su altri che attraversano il libro. Mi sono poi affidato alla casualità della sequenza alfabetica delle categorie. Anche qui però ci ho messo qualcosa di mio. Ad esempio ho chiamato Bambini e non Infanzia una categoria che volevo arrivasse abbastanza presto e Viaggi, e non Migrazioni o altro, quella che secondo me stava bene alla fine. È risultato così che il primo e l’ultimo testo mi pareva avessero un senso in quella posizione e gli altri si susseguissero in modo accettabile. Considerato infine che a uno piace ciò a cui si abitua, mi sono affezionato a questa sequenza che spero non dispiaccia. Resta il fatto che il lettore può leggere i testi nell’ordine che desidera, anche ad apertura di libro.
Tutti i protagonisti di queste storie sono stati in carcere anche se a volte, in questi frammenti, non ne parlano. Il lettore però non se ne dimentichi, soprattutto quando i testi raccontano violenze o ingiustizie subite da bambini, ad esempio. Per tutelare la riservatezza dei protagonisti i testi sono pubblicati anonimi e, dove necessario, sono stati cambiati nomi, luoghi e situazioni riconoscibili. Ma il resto è tutto come me lo hanno narrato.
Amedeo Savoia